02-2014, Robertomaria Siena
Diego Nocella e "IL SEGNO DELLA CARNE", mostra personale presso Atelier Montez, Roma
L’essere è ontologicamente infondato e quindi è assurdo; le cose però, sostiene il giovane pittore, conoscono un loro significato. Il senso è dato dall’arte che giustifica così sia l’uomo che l’intero universo. Ciò non toglie che il mondo sia quello che è, deformato, imperfetto, malato; da qui la de figurazione radicale che colpisce i corpi e l’intera materia. Non perdiamo tempo e leggiamo almeno una delle opere esposte nell’Atelier Montez.
La tenda rossa; Nocella è convinto, come tanti prima di lui, che siamo chiamati a recitare una parte nel mondo. Questa parte inibisce il Bello Ideale e l’Iperuranio; da qui il personaggio la cui carne si presenta come offesa ed incompiuta. Un grande sipario violentemente rosso gli sta addosso; cosa fa il protagonista dell’opera? Sostiene o subisce il grande telo? La risposta rimane incerta perché Nocella è un “pittore dell’Immaginario”, e quindi lascia che il proprio delirio possa mettere in moto la macchina ermeneutica alla quale siamo tutti felicemente legati. Nonostante ciò, Nocella persegue la bellezza e si schiera decisamente contro l’anestesia coltivata dalle Neoavanguardie più menta liste.
L’universo è dunque bello e tragico; è tragico perché è bello ed è bello perché è tragico.
La bellezza, lo ripetiamo, è convulsa; il sipario, infatti, coltiva in se un evidente barocchismo. Nonostante lo scatenamento dell’immaginario, il nostro ci parla del mondo; a volte questo può apparire lusinghiero e accattivante; l’artista respinge qualsiasi grazia e, del mondo stesso, rivela meraviglie e tormenti, ferite e urla. Siamo così chiamati a partecipare allo splendore tragico della carne universale, splendore messo in luce dal gesto veggente e disperato del pittore che non dimentica mai di essere tale. Il punto è proprio questo: il mondo non è bello in se; è bello perché è avvolto dalla tela magata della pittura la quale rende meraviglioso anche quello che non lo è. In conclusione, per l’artista, al di fuori della pittura nessuna salvezza; la pittura cioè sostituisce la realtà nel momento esatto in cui questa, agnosticamente, rivela la ferita che la colpisce in modo indelebile. E’ questo il marchingegno messo in campo da Diego Nocella per volerci salvi, nonostante tutto e a dispetto di quella terra che Mario Sironi definiva una “melma disseccata”.